Corriere di Ragusa Sicilia

60.000 siciliani hanno abbandonato in 10 anni le aree interne dell’Isola per trasferirsi altrove per sempre

PALERMO – Negli ultimi 10 anni 60.000 siciliani hanno abbandonato le aree interne per trasferirsi altrove. Uno spopolamento in appena un decennio, paragonabile a città come Trapani, Agrigento o Caltanissetta che spariscono nel nulla. In che modo il Pnrr e le risorse extraregionali possono contribuire a invertire un trend negativo che desertifica ogni giorno di più i 155 Comuni delle aree interne della Sicilia? Il tema è stato affrontato questa mattina all’hotel San Paolo di Palermo nel corso dell’iniziativa “Aree interne tra declino e opportunità. L’impegno dello Spi Cgil” nella quale sono intervenuti Maria Concetta Balistreri e Pippo Di Natale della segreteria regionale dello Spi Cgil, insieme al segretario generale della Cgil Sicilia Alfio Mannino, la vicepresidente della commissione Ue all’Ars, Cristina Ciminnisi, il direttore della Asp di Enna Francesco Iudica, la sindaca di Collesano Tiziana Cascio, la presidente della consulta giovanile di Petralia Soprana Tiziana Albanese. Le conclusioni, invece, sono state affidate al segretario nazionale dello Spi Cgil, Ivan Pedretti. A portare i saluti istituzionali è stata anche la deputata regionale del Partito democratico Valentina Chinnici.

“Quando parliamo di aree interne, entriamo nel dettaglio di tantissimi temi e disservizi – osserva la segretaria generale dello Spi Cgil Sicilia Maria Concetta Balistreri – dall’istruzione alla cultura, passando per i servizi, la sanità. Tutte le questioni si intrecciano attorno alle esigenze dei 653 mila siciliani che vivono nelle aree interne”. “Lo spopolamento di intere zone – aggiunge Pippo Di Natale – è il risultato di decenni di politiche pubbliche di tutti i governi che hanno pensato che per produrre risparmi nella spesa pubblica occorresse centralizzare i servizi, prima nei medi centri e poi nelle città capoluogo. A pagarne il prezzo maggiore sono state le aree interne. Sia sufficiente pensare a quanti uffici di decentramento statali erano presenti e a quanti oggi sono ancora esistenti. Sportelli bancari spariti, uffici postali chiusi, scuole ridimensionate o accorpate tra loro”.

Un dato su tutti risulta allarmante: nel 2011 gli ultrasessantacinquenni rappresentavano il 18% della popolazione, nel 2021 sono oltre il 24%. Ciò non impone solo un ripensamento del sistema di welfare in questi territori ma richiede, altresì, il varo di politiche di invecchiamento attivo che sappiano coniugare partecipazione e valorizzazione della risorsa anziano. “Questa Sicilia – sottolinea Alfio Mannino – la cambiamo in profondità se partiamo dalle esigenze dei nostri giovani e dalla risorsa che rappresentano i nostri anziani. In questo senso il Pnrr rappresenta un’opportunità di cambiamento epocale: o riusciamo a cavalcare questo volano di sviluppo, o saremo condannati alla marginalità”.

Infine le conclusioni, affidate al segretario nazionale dello Spi Ivan Pedretti, che lega il tema della marginalità dalla Lombardia alla Sicilia: “Due settimane fa – racconta – ero a Milano e la discussione non era questa: la città sta sbattendo fuori dalle sue mura un’altra fascia di popolazione, siamo quasi a livello di Impero romano, i ricchi in centro e man mano le fasce meno abbienti fino alle estreme periferie. Non è diverso, in fondo, rispetto a quello di cui stiamo parlando adesso. C’è solo un problema: che a fronte di un problema comune, declinato in termini di periferie o di aree interne, c’è un sistema di servizi sempre più inefficiente per le fasce meno abbienti”. Pedretti non ha dubbi: “Bisogna proporre una visione alternativa di società, cambiando paradigma e partendo dai bisogni del cittadino, non alla compatibilità economica. Sulla tutela dei bisogni, l’istituzione ha il dovere di trovare le risorse economiche”.

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